domenica 29 giugno 2014

Buona estate


Finalmente sono arrivata alla fine di questa sessione esami, terminando giovedì con due esami in un giorno. Sono molto soddisfatta, gli esami sono andati tutti bene, quest'anno è stato molto molto faticoso ma ce l'ho fatta e sono contenta di questo percorso di studio, che è decisamente impegnativo e appassionante.
Studierò anche d'estate, sia per l'università che per il corso doula, ma il tempo nelle prossime settimane sarà più lento, dilatato, iniziano le vacanze e i ritmi cambiano, si fanno liberi...
Oggi abbiamo festeggiato i 50 anni di sacerdozio di un prozio missionario in Brasile, ieri invece abbiamo fatto una camminata in montagna, in un bosco avvolto dalla nebbia e molto suggestivo.
Vi lascio qui le fotografie scattate in questi giorni, dopo il mio letargo pre-esami.
Ci rivediamo (rileggiamo!) tra qualche settimana, noi domani partiamo per un po' di riposo e di avventura. Buon proseguimento di estate!


 

 

domenica 22 giugno 2014

Ascoltando le asana

 
 [tarocco realizzato dalla mia amica doula Sara Stella, sulla base degli archetipi di Jodorovsky e dei tarocchi Mother Peace]

La pratica dello yoga è tornata ad essere, negli ultimi mesi, una costante delle mie settimane.
Di solito prima di cena, vado in camera da letto, srotolo il materassino e inizio a praticare una semplice sequenza, quasi sempre la stessa, perché è quella che mi piace e mi fa stare bene: pinza,  cane, cobra, muso di vacca, scimmia,...
Io che sono sempre tanto cerebrale, sempre concentrata sui pensieri (e in questi mesi, sullo studio e la memorizzazione), amo lo yoga perché mi obbliga a ritornare al corpo.
Come ogni disciplina sportiva, lo yoga parla ai muscoli, ci porta lì a quelle sensazioni concrete, fisiche. Potrà sembrare strano, che io definisca lo yoga uno sport, ma per me è proprio questo, un'attività centrata sul corpo, così diversa dai lavori di studio o di relazione empatica che vivo ogni giorno (come educatrice, come baby sitter...).
Adoro camminare in montagna, passeggiare o andare in bicicletta, soprattutto nei mesi più caldi, ma queste attività sono un'immersione, nei colori, nella luce, nel caldo o nel freddo, sono una sferzata di energia, di sforzo. Quando vado in montagna, sono un tutt'uno con ciò che mi circonda, guardo, osservo, ascolto, fotografo.
Lo yoga mi permette qualcosa di diverso, sempre centrato sul fisico, ma se le corse in bicicletta e le camminate sono un'immersione e un'apertura, lo yoga è invece ritiro.
 Mi piace lo yoga perché è un ritorno al corpo ma gentile e silenzioso.
Mi ricentra sulle sensazioni: se mi muovo in questo modo ecco cosa sento in questo braccio, in questo muscolo...ecco che allora non devo più pensare ma solo sentire cosa il mio corpo mi dice.
Non devo memorizzare, ma soltanto ascoltare questo corpo che spesso ignoro e che pure mi parla.
La dolcezza e la lentezza dello yoga sono un ritorno ad una dimensione concreta dopo l'eterea attività che mi occupa la mente. C'è sforzo fisico, ma è rispettoso, calmo, pur essendo efficace.
Lo yoga è una pausa che non stravolge e non affatica.
 [una piccola mucca da Jaisalmer, una statuina di Ganesh e Shiva da Agra, un vecchio libro di storia...]

[angolo della doula con i libri da leggere, Ganesh, ambra e l'aculeo di istrice ricevuto da Cecilia/Edera]

A volte però, il mio appuntamento con lo yoga salta, perché la cena richiede più attenzioni, perché finisco tardi di lavorare o di studiare, perché sono stanca...
in questi casi mi dispiace molto e spesso mi sentivo quasi in colpa per non aver saputo preservare quel momento di attenzione e cura.
Lo yoga vero però, è quello fuori dal materasso. Se ci penso, ogni attività che compio può essere yoga, immersione nel momento.

"The woman is sitting. Not in meditation or an asana, but just casually cross-legged.
That, for me, is where I challenge myself to live my yoga — off the mat in everyday life.
And everything flows through her in her stillness." Penelope Dullaghan

Così è capitato spesso che il mio yoga quotidiano fosse stendere la lavatrice...
lavare i piatti della sera prima...
pelare le carote bollite, lentamente (un lavoro che detesto fare)...
leggere la stessa storia ad un bambino per la decima volta di fila...
riscrivere un file word accidentalmente cancellato...
non mi riesce sempre facile, anzi, ho ancora moltissimo da imparare!
A volte, quando sono in una situazione particolarmente difficile, mi ripeto "questo è il tuo yoga del giorno, respira":
quando sono in ritardo e c'è molto traffico e sono in coda...
quando devo aiutare con infinita pazienza un bambino molto indeciso e nervoso a scegliere che maglietta mettersi per la giornata...
quando devo per l'ennesima volta passare l'aspirapolvere dopo che la gatta ha combinato qualche pasticcio...
respira, questo è il tuo yoga di oggi, non importa se non praticherai sul tappetino...

                                 [cartolina sull'Esodo biblico, dal Festival Suq di Genova: fuoco e radici]

[tre bambole ricevute da tre zie, tutte e tre realizzate a mano, sul davanzale]
 
Mi sono piaciute molto queste parole, che ho scoperto tramite Tiziana:
"[...] E poi ci sono innumerevoli Bodhisattva sconosciuti che non hanno mai avuto un addestramento spirituale e non si sono mai impegnati in una ricerca filosofica. Si sono formati e maturati in mezzo alla confusione, alla sofferenza, alle ingiustizie, promesse e contraddizioni della vita. Sono quelle persone ordinarie, generose, coraggiose, indulgenti, modeste, che hanno un grande cuore e da semp...re sorreggono la famiglia umana. [...] Ci sono insegnamenti che vengono solamente dall'esperienza non monastica ma di lavoro, famiglia, amore, lutto, fallimento. [...] Percepire la realtà significa farci un'idea immediata della politica e della storia, assumere il controllo del nostro tempo, essere padroni delle ventiquattr'ore e farlo bene, senza vittimismo. Accompagnare i bambini all'autobus della scuola è difficile quanto cantare i sutra nella sala di meditazione in un freddo mattino. Una mossa non è meglio dell'altra: ciascuna può essere parecchio noiosa ed entrambe possiedono la virtù della ripetitività. La ripetizione, il rituale e i loro buoni risultati si presentano in molte forme. Cambiare un filtro, pulire i nasi, andare alle riunioni, raccogliere le cose lasciate in giro per casa, lavare i piatti, controllare il livello dell'olio: non credere che queste cose siano distrazioni dai tuoi compiti seri. Tutto questo giro di faccende non è un insieme di difficoltà cui sfuggire per poterci dedicare alla nostra "pratica" che ci farà procedere su "un cammino": è il "nostro cammino" [...]"
Gary Snyder - La pratica del Selvatico
 
Ciò che so per certo è che lo yoga mi ha permesso, negli ultimi mesi, di crescere molto sul lavoro e di scoprire in me risorse di grande pazienza e di respiro, mentre sono con i bambini, che solo un anno fa non avevo. Sono un'educatrice migliore, da quando ho re-imparato a fare un passo indietro, respirare e ascoltare con calma.
Il difficile, come sempre, è contagiare con questa calma e quest'ascolto anche tutte le altre azioni quotidiane, partendo di nuovo, come sempre, dall'ascoltare me e quello che i miei muscoli e le asana mi comunicano, pratica dopo pratica.
 
[Lavagnetta con oggetti belli, sopra al tappetino su cui pratico yoga: un dipinto ad acquerello che ho realizzato su carta di riso ad un corso di pittura steineriano, il Padre Nostro in aramaico da Gerusalemme, una collana di semi dal viaggio in foresta in Madagascar, una fotografia del nostro matrimonio, una Hamsa in legno con dipinti gli animali dell'Arca di Noè, la cartolina di Paradjanov che salta e ride dall'Armenia...]

                         [Dolcetti crudisti con albicocche secche, cocco e cioccolato crudista]

lunedì 16 giugno 2014

Dita macchiate di viola



"Hai un sangue, un respiro.
Vivi su questa terra.
Ne conosci i sapori
le stagioni i risvegli,
hai giocato nel sole
hai parlato con noi.
Acqua chiara, virgulto
primavera, terra
germogliante silenzio
tu hai giocato bambina
sotto un cielo diverso,
ne hai negli occhi il silenzio,
una nube,che sgorga
 come polla dal fondo.
 Ora ridi e sussulti
sopra questo silenzio.

 Dolce frutto che vivi
sotto il cielo chiaro,
che respiri e vivi
questa nostra stagione,
nel tuo chiuso silenzio
è la tua forza. Come
erba viva nell’aria
rabbrividisci e ridi,
ma tu, tu sei terra.
Sei radice feroce.
Sei la terra che aspetta."

— Cesare Pavese
 
 
Anche se devo ancora finire gli esami, è già iniziata la stagione che aspetto tutto l'anno, che serbo nel cuore: quella dei giorni fatti di verde e di libertà, di mani sporche, di braccia sudate, piedi nei sandali.
La stagione in cui basta allungare una mano ed ecco il frutteto la ricolma di così tanti frutti che non si riescono a consumare tutti. Mirtilli, fragole, lamponi, more di gelso, ribes.Tra qualche settimana more e lamponi giapponesi.
Poter raccogliere i frutti direttamente dalla pianta e mangiarli lì, nel sole, è un dono preziosissimo.
Sono grata ai miei nonni paterni che hanno costruito e mantenuto quel frutteto e ai miei genitori, che continuano a coltivarlo e hanno insegnato a noi a fare lo stesso, nonostante le nostre lamentele e la nostra pigrizia di ragazzini.
Soprattutto ora, che abito in città, sono grata si poter tornare lì a raccogliere e di aver immagazzinato nella mani la sapienza giusta, che dice quanti lamponi possono stare in un palmo, qual è la tonalià di viola dei mirtilli maturi. Oggi pomeriggio, dopo il lavoro con un ragazzo che si prepara agli esami di maturità, sono andata a raccogliere e le piante di mirtilli erano così colme che riempivo cestino dopo cestino e ne avevo ancora da mangiare.
Ho raccolto per molto tempo, in silenzio, mentre il sole da caldo si faceva velato e arrivava giù dalla montagna la brezza leggera della sera e la luce mutava angolazione.
Una meditazione attiva, un minuscolo frutto alla volta, e cestino dopo cestino il cuore di faceva leggero e le dita macchiate di color malva.
Ecco il tempo dell'estate, quello in cui le ore si dilatano, si può stare dietro a ciò che la terra porta e condividere i frutti, distribuendo lamponi a casa degli amici e camminando muti tra i filari, nel rigoglio del verde.
Amo il lavoro che sanno fare le mie mani, non solo scrivere frasi e sfogliare pagine, ma anche questo: sanno soppesare i cestini colmi, riconoscere la polpa matura, accarezzare le bacche senza ammaccarle...










giovedì 12 giugno 2014

Luci dalla favela


Sono stata in Brasile otto anni fa, nell'estate del 2006, un'esperienza molto forte e difficile, in favela a Salvador de Bahia, il mio primo incontro con un mondo altro, il primo volo oltre il Mediterraneo.
Di quell'esperienza, disorientante e intensa, ricordo la terra rossa delle strade (lo stesso colore che poi avrei rivisto in Africa) e le pubblicità scritte sui muri bianchi delle case invece che su dei cartelloni, come qui da noi. Queste le mie prime impressioni all'uscita dall'aereoporto: la terra rossa, le nuvole alte e le scritte sui muri. Poi l'arrivo in favela e il nostro "smistamento" tra le varie famiglie che ci avrebbero ospitati, la strada principale della favela trafficata e pianeggiante, con ai lati i banchetti di frutta tropicale e tutt'attorno le stradine strette, ripidissime e scivolose della favela vera e propria, un formicaio di casette costruite le une sulle altre, la maggior parte in costruzione o da finire, ma già affollate. La famiglia che ospitò me e la mia amica Simona, in una casa minuscola: la mamma piccolina e molto affettuosa, nata a Manaus in amazzonia, il papà alto e forte, discendente dalla popolazione di schiavi africani portati a Salvador, la figlia Juliana adolescente molto carina e piuttosto ribelle. Ricordo il nostro letto a castello in una camera così piccola che sembrava un corridoio e a stento riuscivamo ad aprire le valigie. La piccola cucina, altre due stanzette e l'ingresso con il divano e la televisione. In quella piccola casa ci trovammo ospitate con grande cura, nonostante gli evidenti pochi mezzi della famiglia. La mamma ci salutava ogni mattina quando partivamo per andare al centro missionario chiamandoci "mie figlie" tutte e tre e ci preparava sempre del cibo molto buono: frutta fresca di ogni tipo, che noi non conoscevamo e non avevamo mai assaggiato prima (acerola, goiaba, cacao, banane piccoline...) e a cena l'immancabile feijolada con riso, fagioli e farofa (farina di manioca tostata).Ricordo i bicchieri di cachaca che preparava il papà con lime, menta e zucchero di canna e le serate con Juliana a guardare soap opere brasiliane interminabili e ascoltare una canzone tormentone che diceva "Onde tem Calcinha eu vou/ Onde tem Calcinha eu vou/ Onde tem Calcinha Preta eu vou, eu vou, eu vou".




Ricordo i giorni di pioggia nella favela quando di colpo tutto diventava allagato, le strade fiumi d'acqua, le fogne esondavano e ci inzuppavamo completamente in pochi minuti.
Ricordo il clima violento camminando nella favela sentendoci tutti gli occhi addosso, e facendo ben attenzione a non fermarci in certi isolati dove c'erano gli spacciatori e dove gli uomini erano armati.
Le antenne della televisione ovunque, i bambini bellissimi (molti figli di europei, biondi e con gli occhi chiari), le tante mamme adolescenti e sole perché lasciate dai vari uomini che avevano avuto. I bambini che andavano a scuola a turno, alcuni al mattino e alcuni di pomeriggio, perché troppi alunni per le poche scuole disponibili.
Ricordo di notte, la favela buia e dal cortiletto della casa che ci ospitava, sopra i banani, le luci lontane e splendenti di Salvador, i grattacieli illuminati e noi lì in mezzo all'abbaiare dei cani, alle televisioni  he gracchiavano, a volte alcuni spari lontani nella notte.
Mi sembrava allora di essere in un altro universo, le luci della città erano vicine ma irraggiungibili e la sensazione era quella di essere alla periferia del mondo, lontanissimi da tutto e da tutti, ignorati e nascosti.
Di Rio ricordo la nebbia umida e fredda sulla spiaggia di Copacabana, la salita in mezzo alla giungla fino alla statua del Cristo e la favela dove stavamo noi, infestata di zanzare, caotica e fiera.
Ora tengo qui in mano la bambolina che ci regalò la nostra mamma brasiliana, che lei realizzava con piccoli ritagli di stoffa e vendeva per guadagnare qualcosina e gli orecchini di cocco con la bandiera che ci regalò Juliana. Per i prodigi delle telecomunicazioni ora io, Juliana e la mia amica Simona siamo amiche su Facebook dove riusciamo a sentirci e vederci. Juliana è una ragazza bellissima, che lavora come modella e studia da infermiera. Dalle sue fotografie mi sembra molto felice e sono stata contenta, poco tempo fa, di vederla in un'immagine con i suoi genitori, la mia famiglia brasiliana.



 
La mia esperienza del Brasile è sicuramente molto parziale, è esperienza di favela e delle grandi miserie, degli sfruttamenti, ha poco spazio per giri turistici e i luoghi più famosi.
Non posso dire di aver conosciuto il Brasile, ma certamente quella è l'immagine che mi è rimasta del paese e fatico ad associarlo alle spiagge di sabbia, alle feste, allo sport...il Brasile che ho visto io è il degrado delle periferie, la violenza diffusa, l'abbandono sociale...
Mi arrabbio sempre quando sento qualcuno dire che il Brasile è bello, che le spiagge sono fantastiche, i ristoranti prestigiosi, la gente sorridente...quanta miseria c'è in Brasile, quante povertà ci sono...no, non si può pensare che il Brasile sia solo la moderna festa di Rio, i locali alla moda, le discoteche sulla spiaggia!!
Nelle prossime settimane di Mondiale, vorrei che avessimo in mente anche il Brasile che ho visto io: non solo le celebrazioni, le ragazze dai fisici scultorei, lo spirito festaiolo carioca, ma anche la miseria della favela, l'ingiustizia, i bambini di strada che giocavano con noi
Qualche giorno fa, preprarando un'attività per l'esame di didattica, sono andata a cercare del materiale sul sito di Survival, l'associazione a tutela dei diritti delle popolazioni tribali del mondo.
Ho trovato questo articolo molto interessante anche se molto triste che racconta per ogni stadio della coppa del mondo, qualcosa su una popolazione tribale che vive lì accanto e che è sfruttata o in pericolo.
Sul sito della FIFA non c'è alcun accenno ai popoli indigeni brasiliani e la CocaCola, che sponsorizza i Mondiali, cerca di essere politically correct con una pubblicità in cui un indiano beve la famosa bevanda, quando in realtà essa compra lo zucchero che utilizza dalla multinazionale Bunge, che lo produce nelle terre che ha rubato al popolo Guaranì..."I Guarani del Brasile stanno soffrendo terribilmente per la perdita quasi totale delle loro terre. Ondate successive di deforestazione hanno convertito quelle che un tempo erano i loro fertili territori ancestrali in un fitto tessuto di ranch e piantagioni di soia e canna da zucchero destinata ai biocombustibili [...] Senza più terra, perseguitati e privi di speranze e prospettive, tra i Guarani dilagano i suicidi a ritmi che non hanno uguali in tutto il Sud America."
Qui un articolo sui popoli indigeni brasiliani
e qui la scheda informativa sul popolo Guaranì
gli Awa del Brasile sono invece la tribù più minacciata al mondo.
Un bellissimo progetto è quello di Silent Tapes, nella campagna 50kids-50cameras nella favela di Fortaleza, città brasiliana purtroppo famosa per il turismo sessuale predatorio nei confronti di ragazzini e bambini/e: cinquanta bambini di Fortaleza potranno partecipare ad un workshop di fotografia ( e ricevere un pasto).Ogni bambini potrà fotografare la sua vita quotidiana e dalle varie immagini sarà realizzata una mostra fotografica, un libro e altre iniziative.
Dare voce a chi non ha voce, spesso possiamo fare poco altro: oggi io voglio dare voce e spazio non solo ai fischi di inizio della Coppa del Mondo, ma anche all'altro Brasile, quello in lotta, quello sfruttato, quello inascoltato e ricordare l'ospitalità della favela.
 

sabato 7 giugno 2014

Vita di città


Uno degli aspetti che amo della città in cui vivo è l'altissimo numero di manifestazioni, attività e incontri che propone.Per essere una città piccola, alla base delle montagne, ci sono infatti moltissime iniziative anche molto originali: numerosi corsi di yoga, studi olistici, corsi di giocoleria e teatro, di erboristeria, di musica, rassegne cinematografiche, convegni su temi svariati...l'unico problema è che queste iniziative sono molto frammentate, ce ne sono così tante che spesso non sono pubblicizzate abbastanza bene o sono molto settoriali...ho scoperto da alcuni giorni che c'è ad esempio un suonatore di Hang Drum di cui non avevo mai sentito parlare!
 Lunedì scorso due giugno c'è stata una delle manifestazioni più originali, lo Shakabum Festival, alla sesta edizione. Il bello di Cuneo è proprio che ci sono molte iniziative, gruppi, associazioni e persone creative, ma difficilmente si vedono tutte insieme per la città. Lunedì nvece il centro era i invaso da giocolieri, skaters, artisti di strada, attori di performances teatrali improvvisate, truccatori e vestiti colorati in ogni dove. Mi ha commosso vedere quest'arte portata in giro, soprattutto dopo aver recitato io stessa la sera prima in una spettacolo, arte creata e condivisa senza profitto, solo per diffondere una riflessione, una risata, un divertimento sano. Arte per la gioia di inventare qualcosa di nuovo, di raggruppare persone accanto a sé, giovani e anziani, di far uscire allo scoperto i tanti talenti nascosti della città.











Tra i vari stand del festival ci ha incuriosito molto l'iniziativa promossa dalla LVIA e da Generazione Intercultura, di una biblioteca vivente, in cui si potevano "prendere in prestito" non dei libri, ma delle storie, raccontate dai loro diretti protagonisti. Si poteva allora scegliere se sedersi al tavolino di una donna maghrebina, a quello di una ragazza rom, di un ragazzo somalo, di una ragazza cinese, della mamma di un ragazzo omosessuale ed ascoltare la loro storia. Noi abbiamo ascoltato la storia di Fang- Mei, ragazza cinese che abita in Italia da alcuni anni e ora sta studiando come mediatrice intercuturale e ci ha raccontato le contentezze e le difficoltà della sua integrazione sociale.
 Abbiamo poi ascoltato Abdhullai, ragazzo somalo che ci ha raccontato il suo viaggio durato 7 mesi da Mogadiscio a Lampedusa, le peregrinazioni nel deserto fino alla Libia, l'attraversamento del Mediterraneo e tutti gli scogli burocratici e sociali che sta affrontando per veder riconosciuto il suo status di rifugiato politico. Parlare con Abdhullai è stato molto interessante, abbiamo chiarito alcuni aspetti relativi alle richieste di asilo, ai centri di permanenza territoriale che di solito non si conoscono e che anzi generano moltissimi malintesi e cattiva informazione da parte dei mass media.( Se volete leggere qualche informazione aggiornata sul tema dei rifugiati in Italia vi consiglio vivamente post come questo o questo di YeniBelqis).
Penso sia molto importante avviare occasioni di semplice dialogo come queste, di scambio reciproco, quando normalmente non avremmo l'opportunità o il coraggio di interagire direttamente con un migrante nostro concittadino.

Spero tra qualche anno di poter vivere in campagna, intanto in questo tempo di vita urbana, nonostante la nostra routine sia piuttosto casalinga, mi piace approfittare delle tante iniziative che promuove la nostra città: ieri sera siamo stati ad ascoltare il racconto di una coppia di Cuneo che lo scorso anno ha tentato la salita al Manaslu, l'ottava montagna più alta del mondo (8163 m), oggi e domani ci sarà la 24 ore di sport e finalmente il 20/21/22 giugno tornerà Isola di Mondo festa multietnica e multiculturale di cui ho già raccontato. Dal 23 al 29 giugno sarà la volta del festival di circo Il ruggito delle Pulci.
 La scorsa settimana è stata invece costruita una carbonaia per il festival della montagna, si tratta di un'antica modalità di estrazione del carbone da legna che brucia molto lentamente sotto un cumulo di terra, che veniva utilizzata nei nostri boschi fino a qualche decennio fa ma che non avevo mai visto in azione.
Molti giovani della età si lamentano di Cuneo, della sua piccolezza e il mantra spesso è che "non c'è niente da fare". Io che ho sempre amato stare in mezzo alla natura e che non ho mai amato molto la movida, mi trovo benissimo qui, in questa città piccola che si può girare tutta a piedi o in bicicletta,
e dove a ben guardare le iniziative culturali sono invece moltissime e la vita è veramente a misura d'uomo.
Qui sotto due fotografie del nostro spettacolo teatrale Luoghi di Passaggio, domani pomeriggio saremo in tournèe per un pomeriggio di improvvisazione teatrale con altri due gruppi.
                 E voi cosa amate del luogo in cui vivete?

**** Comunico l'estrazione avvenuta dei commenti al progetto Gratitudine in semi sparsi:
                                                  ho estratto a sorte Simona! ****

 

lunedì 2 giugno 2014

Api al lavoro


Ultimamente le api incrociano spesso il mio cammino.
Inizio ogni giornata con alcune tazze di the caldo, dolcificato con un poco di miele.
Consumiamo una grande quantità di miele, è l'unico dolcificante che usiamo quotidianamente (uso lo zucchero solo nelle torte e nei dolci) e sono veramente appassionata di miele: ne amo il gusto, la consistenza, il colore ambrato...il mio preferito è quello di castagno, o di millefiori, ma mi piace provarne tipi nuovi, in Puglia abbiamo preso un barattolino di miele di rosmarino e di uno di fiori di arancia. Abbiamo usato tutto l'inverno il miele che un mio amico d'infanzia produce nelle sua borgata in collina, oppure il miele che trovo al mercato in una bancarella del mio paesino ai piedi delle montagne. Mi piace seguire il volo delle api e il loro ronzio caratterizza l'arrivo della primavera.
Curiosamente, preparando il personaggio per lo spettacolo di teatro in cui ho recitato ieri sera, sull'antologia di Spoon River, ho scelto proprio una candela di cera, altro risultato del lavoro alacre delle piccole api. Ogni attore doveva scegliere tre/quattro oggetti significativi per il suo personaggio, da utilizzare sia nello studio per delineare meglio la personalità che avremmo impersonato poi sulla scena. Io, William Goode, ho scelto come oggetto cardine una candela da accendere e spegnere sul palcoscenico, il mio oggetto-totem contro l'oblio.
Sabato sera, invece, abbiamo visto al cinema, per la rassegna del Festival della Montagna di questi giorni, un documentario molto delicato e commovente (Der Imker) di un uomo anziano, profugo curdo in Svizzera, che si salva grazie all'amore per le sua api che cura e alleva come fossero la sua famiglia lontana e perduta. Le api diventano la sua ragione di vita, lo accompagnano nel difficile percorso di ricostruzione della sua identità in una nuova patria, sono la sua unica passione, alla quale vorrebbe dedicare tutto il suo tempo. La figura dell'apicoltore Ibrahim mi ha ricordato gli apicoltori incontrati durante il nostro viaggio in Armenia, i tratti somatici simili, l'amore uguale per le api in una terra divisa e tormentata...ricordo benissimo la casa del maestro di Vardenis e il miele grezzo che ci diede da assaggiare, ancora mescolato alla cera, denso e dolcissimo.
Questi giorni, dopo il 28 maggio, sono i giorni della Luna del Miele,
"le Api produttrici di miele sono da sempre simbolo della Dea  esse producono da sole il loro nutrimento, attraverso la collaborazione e il loro lavoro creano la loro ricchezza.
La Luna del Miele attraverso il simbolo delle Api ci racconta proprio questa facoltà che è insita in ognuno di noi" [...]
"Le api inoltre sono animali alchemici, trasformano il nettare in miele, ed è questo il processo simbolico che deve avvenire in noi, per trasformare questo Fuoco primitivo in Oro."
Ho trovato questo scritto molto interessante, come sempre utile nel ribadirmi una verità che già so ma che devo ancora sviluppare pienamente. Non sapevo che questa fosse proprio la Luna del Miele, né che ne esistesse una così denominata!
Le api ritornano anche in una delle mie letture preferite delle ultime settimane (sia sul blog che su Instagram qui e qui) : la vita di questa famiglia che vive sulle montagne a Nord di San Diego in California, coltivando un orto e curando delle galline, dedicandosi alla creazione di meravigliosi gioielli con cristalli e minerali di cui studiano le proprietà e le caratteristiche, in attesa di ripartire per un lungo viaggio attraverso gli USA, che contano di finanziarsi attraverso piccoli concerti e altre collaborazioni.
Il nome del loro sito significa "casa nell'alveare" e spiegano di aver scelto questo nome con l'idea di favorire una comunità di persone che condividono interessi e mutuo rispetto, basta sul dibattito e sulla condivisione, come delineato nel libro Honeybee Democracy: "...what works well for bees can also work well for people: any decision-making group should consist of individuals with shared interests and mutual respect, a leader's influence should be minimized, debate should be relied upon, diverse solutions should be sought, and the majority should be counted on for a dependable resolution."
Nel loro blog e attraverso le loro fotografie, Ashley e Ether stanno diffondendo una grande gioia di vivere, contagiosa e vivificante, che ristora e che fa bene leggere.
Questa è la grande bellezza delle piccole api: un piccolo insetto da solo è capace di impollinare moltissimi fiori, sembra insignificante, ma il suo umile lavoro permetterà a quel fiore di originare frutti e altri fiori, in un gioco a cascata che dalle minuscole zampette dell'ape si diffonde in tutta la sua area di volo.
Così è l'opera dell'educatore, del maestro, che aiuta ciò che c'è già a sbocciare.
E' un lavoro che non si vede subito, necessita di tempo e pazienza, sembra quasi nullo...ma tutte la api messe insieme sono capaci di impollinare un grandissimo campo, di portare frutti a tutta la valle.
Grazie a tutti voi che passate qui a leggere in silenzio (e siete tanti!) o a leggere e commentare, per la comunità che stiamo creando attorno a queste parole, a queste immagini.
Buona settimana da api impollinatrici, con costanza e pazienza, ovunque saremo.
Se una piccola ape può spaventarsi, è al sicuro se sa che anche il resto dell'alveare sta andando nella sua direzione...è proprio quello che stiamo creando qui, con ognuna delle nostre vite, che sono lontane ma si coordinando e portano ciascuna il suo frutto speciale.

(Tutte queste fotografie di api a lavoro sono state scattate ieri durante il nostro primo pic-nic dell'anno lungo il fiume)