martedì 6 ottobre 2015

Lasciarsi accadere

Stamattina abbiamo approfittato di un giorno di congedo parentale per andare a fare una passeggiata tutti insieme sulle colline di Collalunga, verso Sant'Antonio di Boves. Negli scorsi giorni è caduta molta pioggia e il bosco ha riacquistato colori verdi brillanti, lasciando per ora poco spazio agli ocra e agli arancio dell'autunno, dopo un'estate torrida e secca. Ma il cambio di stagione c'è e si avverte da altri piccoli segnali: il canto delle castagne che cadono a terra, tonfi che danno ritmo al camminare e fanno risuonare il sottobosco. La nebbia oggi copriva la cima della Bisalta e delle altre montagne, rendendo tutto più ovattato e la luce più morbida.
Dopo aver camminato tra dei vigneti, sul crinale della collina, abbiamo incontrato nel bosco gli abiti antichi del progetto artistico "Radici nel bosco". Questi abiti vivranno qui per un anno, in mezzo agli alberi: sono arrivati il 20 agosto 2015 e qui resteranno esposti al vento, alla pioggia, alla neve, a tutti i movimenti del bosco. Colonizzati via via da piccoli insetti, da foglie cadute, dalle zampette curiose di chi si posa sui rami in cerca di riposo, gli abiti stanno diventano parte del bosco, vi si fondono, ne rendono visibile la vita nascosta.


Abbiamo osservato gli abiti, camminato piano tra gli alberi per avvicinarli, poi abbiamo proseguito lungo il sentiero. L'arte non è tale se non ci interpella, se non ci comunica qualcosa.  
Cosa, mi sono chiesta, mi dicono questi vestiti bianchi appesi tra i rami? Cosa possono insegnarmi?
Mi è subito venuto in mente che mi insegnavano il lasciar andare, il non attaccamento. L'impermanenza di tutte le cose e l'arte di distaccarci da ciò che è superfluo, l'abbandonare le nostre (mie) manie di controllo e di perfezione.
Ma non era questa la vera lezione di radici nel bosco, per me, oggi. In questi giorni sto riflettendo, meditando, su un concetto simile ma dalle diverse sfumature: non tanto, non solo, il lasciar andare ciò che non mi serve e che mi impedisce di vivere in pienezza e lentezza, ma sopratutto il lasciar accadere. Domenica mattina sono stata ad un seminario di yoga che aveva come titolo  "Seminario per la rinascita" in una manifestazione intitolata quest'anno Radici (coincidenza?). Abbiamo praticato delle asana, degli esercizi per riattivare il prana e declamato mantra di auto rafforzamento secondo l'insegnamento di Yogananda, praticato alcune serie di saluto al sole. Gli esercizi fisici erano intervallati da meditazioni con campane tibetane e olii essenziali come quello di cedro, lidsea, palmarosa, sandalo e incenso. Abbiamo provato a lasciar arrivare l'ispirazione, a fissare gli obiettivi dai quali volevamo ripartire, a delineare con più chiarezza cosa volevamo portare e donare al mondo. Mi sono venute in mente, durante le meditazioni, alcune ispirazioni molto forti, che però ho subito tentato di ricacciare, ritenendole troppo impegnative, stancanti. Allora sto meditando sul lasciare accadere, lasciare che i sogni e le ispirazioni arrivino, che parlino e suggeriscano, invece di schermarmi e allontanarli. Lasciare che le cose arrivino, rimanere aperti: anche se non è ancora il tempo giusto per realizzarle.  Lasciarsi essere, lasciarsi accadere.
Poco dopo aver trovato gli abiti nel bosco, mentre camminando pensavo proprio a queste parole, abbiamo trovato una foglia , appesa ad una ragnatela sottilissima, ondeggiava in mezzo al sentiero a circa un metro e mezzo di altezza. Si lasciava accadere, semplicemente. Era. Senza timore, volava.  
Gli abiti nel bosco si lasciano accadere, senza protezioni o confini, sono: lasciano che arrivi il nido, la rugiada. Non scappano, non lottano, ma stanno. Mettono appunto radici e lì si aprono a ciò che di meglio possono offrire, senza remore.

"Cos è l'esistenza? In fin dei conti dovremmo essere consapevoli che l'esistenza è - nel suo complesso- vivere in una succà*: in una precaria condizione protetta" Rabbino Benedetto Carucci Viterbi

* capanna eretta per la festa autunnale di Sukkot, in ricordo delle capanne costruite dal popolo ebraico durante l'esodo nel deserto. Sono capanne transitorie, con il tetto di canne di bambù, rami di palma o di sempreverdi, gambi di mais, strisce strette di legno grezzo.

sabato 3 ottobre 2015

Fioriscono con me tutti i miei antenati

C'é una contentezza in questi giorni che lieve lieve si spande, prendendosi spazio lentamente, come una nuvola che si diffonde in una stanza. È lieve perchè è una contentezza di piccole cose, che messe in fila una accanto all'altra mi danno l'immagine di cosa sto facendo, del punto in cui sono sulla mia strada come donna e come mamma. 
Una contentezza che si origina e nutre dalla consapevolezza, dal saper guardare, dal riuscire a rallentare. La consapevolezza nel notare le mie emozioni, le mie sensazioni, senza nasconderle o ricacciarle, ma osservandole così come sono, provando a respirarci e a rimanerci: la mancanza forte di Maddalena che sento quando sono in classe a scuola come tirocinante; la paura che provo quando so che dovrò affrontare una situazione difficile con una persona che mi mette a disagio; la fatica di organizzare gli orari dei laboratori, del tirocinio, degli esami; il disorientamento nel vedere le giornate passare troppo veloci...
Cerco di fermarmi e di osservare queste sensazioni, spesso non ci sono risposte o soluzioni, ma cerco di avere ben presente dove sono, con onestà, dando dignità a ciò che sento e sono.
La contentezza allora arriva dal riconoscere, riconoscere me e i miei bisogni, riconoscere i bisogni di Maddalena e mettermi all'opera perchè siano se non soddisfatti, almeno visti, notati.
Mi permetto di riconoscere dove sbaglio, dove inciampo e mi permetto di ricominciare, ogni giorno, di rimettermi in carreggiata con ciò che voglio e sogno.
La contentezza di questi giorni è proprio nell'accorgermi, nonostante le mille necessità di ripartire e migliorare, di essere sulla strada giusta, cioè quella che mi piace, che meglio mi permette di esprimermi, di avvicinarmi alla pienezza.
La strada giusta nel seguire le stagioni e nel raccogliere le foglie che mutano colore, meravigliandomi. 
La strada giusta nel farlo con Maddalena nella fascia, lasciando in lei un'impronta piccola e leggera ad ogni passeggiata, perchè non ricorderà le nostre gite, ma ricorderà cosa significa essere tenuta in braccio, respiro su respiro, ammirando gli alberi e il vento e le foglie e persino la pioggia.
La strada giusta nell'impastare il pane con la frutta secca, nel prepararne uno speciale a forma di drago per celebrare San Michele e la sua forza.
La strada giusta nel coricarsi e alzarsi pian piano, cercando di eliminare la fretta e i rumori, godendo di quei tempi per coccolarci e sussurrare alla piccolina il mio grazie.
La strada giusta nel preparare a mano la maionese con l'Harissa, che tanto mi parla della mia infanza, delle estati in Francia.
La strada giusta nello studiare e nel leggere articoli che mi fanno bene, che 
La strada giusta nell'osservare Maddalena che si alza in piedi da sola, caparbiamente, veloce e fiera. Cade moltissime volte, ma ogni volta è di nuovo in piedi, lì che tenta e ritenta, mescolando lacrime e grandi sorrisi, senza arrendersi. Ammiro il suo coraggio senza limiti e cerco di farlo mio, per proseguire lungo questa strada e ricominciare ogni volta che vacillo.



Mia nonna mi ha portato nel suo grembo tanti anni fa, ha cullato le mie potenzialità, mi ha nutrito di esperienze e ricordi, con speranze e dolori.
Ha dato alla luce mia madre e mia madre mi ha portato nel suo grembo ancora prima di avermi concepito.
Nelle sue preziose ovaie erano custoditi anche tutti i ricordi di mia nonna.
Mia nonna mi ha sognato senza saperlo.
Ed io oggi onoro il suo sogno, abbraccio il suo amore portandolo nel presente e espandendolo nel futuro, guarisco in me quello che mia madre e mia nonna non poterono guarire.
Perchè io sono un seme, io sono un fiore, e quando fiorisco, fioriscono con me tutti i miei antenati.

La Mujer Lunar


giovedì 1 ottobre 2015

Cosa ci rende umani?



 IL GRANDE GIARDINO
Siamo tutti pellegrini senza dimora
e siamo tutti fratelli e sorelle.
Nudi camminiamo coperti di cenci col nostro sacco,
ma cosa posseggono i principi a confronto con noi?
Si riversano su di noi per l'aria tesori
che non si misurano a peso d'oro.
Più ci facciamo vecchi,
più ci rendiamo conto che siamo fratelli e sorelle.
Col resto del creato non abbiamo null'altro da spartire
che fargli dono della nostra anima.
Se avessi un grande giradino
li inviterei tutti, fratelli e sorelle.
Ciascuno porterebbe con sé un grosso tesoro.
Poiché non abbiamo una patria potremmo diventare un popolo.
Costruiremmo un'inferriata intorno al nostro giardino
in modo che alcun suono mondano ci giunga.
Dal nostro tacito giardino
daremmo nuova vita al mondo. EDITH SODERGRAN


Ho iniziato per caso, guardando questo video in cui Francine racconta la sua storia, una delle storie più belle, forti e commoventi che io abbia mai incontrato, di quando da bambina fu deportata a Bergen Belsen, una storia di condivisione e speranza, magnifica. Poi spinta dalla curiosità sono andata a cercare il sito ufficiale del film e del progetto Human, un vasto documentario realizzato dal regista Yann Arthus-Bertrand, che raccoglie centinaia di brevi interviste e testimonianze da persone di tutto il mondo, persone completamente diverse tra loro, su temi comuni come il lavoro, l'amore, la famiglia, la guerra. Il regista cerca di scoprire "cosa ci rende umani", cosa ci rende simili. Le storie raccolte sono un panorama di tutto l'umano: storie terribili di violenza e dolore, storie di riscatto, di grande gioia e saggezza. Sono storie raccontate senza censura, che non portano in evidenza alcun tema autoconclusivo, nè sono politicamente corrette: alcuni intervistati ci possono apparire violenti, insensibili, lontani. Altri ci commuovono, ci emozionano. Io ho provato tutte queste contrastanti sensazioni guardando il film e questo è uno dei maggiori pregi del documentario: le storie sono presentate così come sono, nella loro spiazzante onestà.  
"HUMAN ci mette faccia a faccia con l'Altro, facendoci riflettere sulla nostra vita. Dai racconti di esperienze quotidiane al racconto delle vite più incredibili, questi incontri struggenti condividono una sincerità rara e sottolineano chi siamo: il nostro lato oscuro, ma anche ciò che di più nobile esiste in noi, e ciò che è universale [...] HUMAN è un lavoro politicamente impegnato che ci permette di abbracciare la condizione umana e riflettere sul senso della nostra esistenza."


Questo documentario mi ha colpita, affascinata, indignata. Ci mette veramente di fronte tutto l'umano, nel bene e nel male più grandi ed ecco allora la risposta al quesito di partenza del regista, "che cosa ci rende umani?": forse semplicemente il fatto che abbiamo gli stessi sogni e condividiamo le stesse debolezze e paure, che commettiamo gli stessi errori, non importa a che latitudine viviamo, da dove veniamo. A renderci umani è proprio la nostra condizione di partenza, di concittadini su questo pianeta.  
"It is too late to be a pessimist. Taking action builds happiness!" 
Indipendentemente dalla nostra condizione o situazione, ognuno di noi può svolgere un ruolo attivo e contribuire ad una società più equa e armoniosa. Sia che siamo maschi, femmine, giovani, vecchi, sposati, divorziati, single, orfani, poveri, ricchi, disabili, le nostre opportunità per agire sono infinite. Che sia tramite il lavoro o attraverso azioni semplici associative, ci sono molti gesti semplici da fare e storie da vivere per aiutarci a realizzare noi stessi e a costruire l'umanità di domani. Yann Arthus-Bertrand




Trovate il tempo per guardare il documentario Human, ne vale proprio la pena e molte sono le riflessioni a cui porterà la visione. Il film è disponibile sul canale YouTube dedicato, in tre diversi episodi e in molte delle singole storie e interviste, come questa o questa. Le fotografie di questo articolo sono invece del matrimonio di una cara amica doula, al quale siamo state io e Maddalena qualche settimana fa: un giorno splendido dedicato all'amore, alla famiglia, alla sorellanza, un giorno in cui abbiamo creato comunità, tutti insieme, ognuno agendo per il suo piccolo pezzo. Le ho messe qui per ricordarmi che è sempre possibile agire in questo modo, con apertura e gentilezza. Il film ci mostra tutto dell'umano, il terribile e il magnifico, io voglio ricordarmi con queste fotografie come è arricchente quando cerco e mostro la versione migliore di me, quando entro in contatto con chi mi è vicino, lasciando andare ogni difesa. Quando vado avanti con coraggio e sorridendo incontro chi cammina sulla stessa strada.

domenica 20 settembre 2015

Scuola come comunità


 Sto svolgendo un progetto di tirocinio a scuola legato all'inserimento nelle nuove classe dei bambini che iniziano la Scuola dell'Infanzia e la Scuola Primaria. Quest'anno il tirocinio mi vede particolarmente sensibile: è già solitamente un'occasione di confonto con le altre maestre e con il sistema scolastico in generale, ma ora che sono mamma è interessante notare come i miei due ruoli, di insegnante e di genitore, si trovino a volte in conflitto, non sempre d'accordo, quasi sempre nel dubbio. Inevitabilmente, ogni volta che sono in una classe, ora guardo a quei bambini non solo come potenziali alunni ma anche come potenziali figli, soprattutto alla Scuola dell'Infanzia. Il mio sguardo sulle dinamiche in aula è allora piuttosto particolare rispetto a quello delle mie compagne che sono molto più giovani e inevitabilmente il transfert si mette in moto: e se quel bambino che piange disperato fosse mia figlia? E se fossi io la mamma che ha accompagnato a scuola stamattina quel bambino che inizia la prima Primaria? E se fossi io ad aspettare fuori dalla scuola che finiscano le lezioni del primo giorno, orgogliosa e felice? Questo doppio ruolo è spesso faticoso: come insegnante a volte mi trovo a sanzionare comportamenti che non sanzionerei come genitore (niente di particolare, anche solo il dover rimproverare un bambino perchè arriva a scuola in ritardo) oppure a considerare insistenti e apprensive le domande di un altro genitore, le stesse che però farei probabilmente anche io...è lo stesso dilemma del guidatore e del pedone sulle striscie pedonali: se siamo alla guida ci infastidiscono i pedoni e viceversa, ma in questo caso io sono sempre simultaneamente mamma e maestra, due identità che non sempre coincidono.


 Ad aggiungere ulteriore movimento alla mia capacità critica, seguo con grande interesse pagine FB e blog completamente diverse, di famiglie dedite all'homeschooling/unschooling e di educatori o docenti invece completamente a favore della scolarizzazione. Io leggo tutto e da tutto mi lascio interrogare, mi ritrovo ad essere d'accordo con posizioni di entrambi gli schieramenti ed è una bella ginnastica mentale interagire con entrambe le parti, situandomi nel mezzo. Ho molti dubbi, su entrambe le scelte, ma considero fecondo questo interrogarmi, e penso che dovrebbe farlo ogni insegnante, ogni genitore. Spesso non esiste una sola scelta giusta e come insegnante, è mio dovere conoscere anche chi vive esperienze diverse dalle mie, confrontarmi, mettere in discussione ciò che studio e che vivo. Ne scrivevo già lo scorso anno: un buon insegnante deve saper essere un buon homeschooler, nel senso che deve saper inventare, proporre, ispirare attività nuove e originali, stimolanti e inusuali, invece che attenersi al libro di testo e alla didattica miniesteriale. Certo è molto impegnativo uscire dal seminato, ma è l'unico modo sensato di "fare scuola", come l'unico modo di fare qualsiasi altra cosa. Penso che la scuola sia un ambito importante di socializzazione e di apprendimento, ma che non sia e non debba essere l'unico. Ho imparato e sto imparando molto dai miei (lunghi) anni come studentessa, ma altrettanto se non di più ho imparato fuori, fin da bambina. È importante allora che la scuola non riceva una delega educativa da parte dei genitori, delle famiglie: scuola sì, ma l'apprendimento migliore e principale è e deve essere nel quotidiano, a casa, in tempi non strutturati e vuoti. La scuola non può e non deve essere un riempitivo, un parcheggio: la scuola è un'occasione importante per creare cittadinanza, confontandosi con gli altri, imparando a condividere, a dialogare, a superare i propri limiti. Ma la scuola da sola non basta, si apprende cittadinanza e si apprende sapere innanzitutto nella vita vera, non in tempi e spazi chiusi, e questo è uno dei compiti principali di noi genitori: essere vettori di conoscenza, di esperienze arricchenti, sia culturali che di incontro e dialogo con il mondo.


 Condivido lo spirito di queste parole di Tom e Anna, genitori viaggiatori: 
"Penso semplicemente che la scuola sia molto più di un semplice studiare biologia, geografia e inglese (tutte queste cose sarebbe si imparerebbero facilmente viaggiando). La scuola non è solo alzarsi presto, essere puntuali e essere costretti a imparare cose non necessarie. È una grande lezione di vita sociale, di vita tra molte persone diverse, di relazioni con gli altri e con se stessi. Incontrare persone che forse non incontreresti nei luoghi dove i tuoi genitori ti portano. Incontrare persone non scelte da te. Incontrare i buoni insegnanti e i cattivi maestri. E imparare ad affrontarli. [...] Perché voglio che loro incontrino il mondo reale: tutto quello che il mondo offre. Tutti i ragazzi difficili, tutti gli insegnanti sleali."
Guardando la scuola dal di dentro, come tirocinante, a volte incontro realtà tutt'altro che auspicabili per un bambino, come molte volte incontro maestre bravissime, entusiaste e preparate. Penso che la scuola sia innazitutto questo, ed è proprio il motivo per cui sto studiando per diventare maestra, e lo faccio dopo una laurea in Scienze Politiche: fare scuola è ricreare il villaggio, in cui i figli non sono cresciuti solo dai genitori e non vivono solo con i proprio fratelli o sorelle, ma si vive insieme, accanto, imparando a tollerarsi, lasciandosi ispirare dagli altri, sviluppando un senso di giustizia, imparando quali regole seguire e quali no. Come insegnante voglio offire questo: una collaborazione nel crescere con amore e sostegno anche i figli degli altri. Come genitore desidero questo: che i miei figli imparino a vivere in un villaggio con gli altri, a vivere in comunità e per la comunità.
Rimango dell'idea che una scolarizzazione precoce sia sbagliata e che la scuola dovrebbe occupare soltanto un tempo limitato nalla vita quotidiana dei bambini, rimango dell'idea che i primi maestri siano e debbano essere i genitori e che si impari molto, moltissimo anche dalle socializzazioni informali (stando da soli, stando con i nonni, stando all'aperto, viaggiando, occupandosi di cure verso altre persone, verso piccoli animali, leggendo per conto proprio ciò che ci piace, andando a mangiare in un ristorante esotico...).
Penso che la scuola sia uno strumento utile di confronto e di crescita e per questo voglio farne parte, mettendo a disposizione il mio sapere e il mio tempo. 
 
“Nell’epoca del capitalismo avanzato, tecnologico, assimilato da ciascuno di noi persino nei suoi risvolti psicopatologici, compito dell’educazione [...]diviene non tanto quello di creare strumenti di formattazione e adattamento del singolo, quanto quello – al contrario – di formarne la resistenza identitaria, attraverso l’apertura reale all’altro, il recupero dell’educazione come attività universale di cura, lo spostamento dall’io narcisistico alla comunità” Claudia Secci su Educazione Democratica




venerdì 11 settembre 2015

Inizia adesso


" We must rise up and be the medicine needed in this world. Begin with seeing beauty." 

Mi accorgo che scrivo quasi sempre sullo stesso argomento e che lì attorno ruotano i miei pensieri. Bene, significa che in questa parte del cammino è necessario così, sono queste le riflessioni che ho bisogno di condividere. Come tutti sappiamo e vediamo, i telegiornali sono tutt'altro che allegri e le principali notizie ci lasciano disorientati, impauriti. Sembra che la violenza sia imperante attorno a noi, dilaghi e porti distruzione ovunque. Spesso la sensazione principale è di non poter fare nulla, di essere totalmente in balia degli eventi: tutto sembra muoversi attorno a noi a grande velocità e pensiamo l'unica soluzione possibile sia un intervento sui grandi sistemi, geo-politico o macro-economico, dipendente dalle decisioni dei grandi potenti. Se questo è certamente vero, perchè molto sfugge ai nostri ragionamenti e non dipende dai nostri discorsi, non accetto la visione che il singolo sia  ininfluente. Da grande idealista quale sono, credo che ognuno di noi possa sempre, sempre, fare la differenza, lì dov è, in quell'esatto momento. In fondo, la violenza che vediamo attorno a noi e che tanto deploriamo, è presente allo stesso modo in noi stessi. Ciò che vediamo fuori e condanniamo, è anche in noi. Forse non possiamo avere un'influenza diretta sul macro sistema, sulla violenza su larga scala, ma possiamo sicuramente agire su di noi, disinnescare la violenza in noi, perchè il negativo in "grande" in fondo si nutre e si alimenta del negativo "piccolo" che ognuno di noi rilascia nel mondo. Io per prima mi accorgo di come mi sia facile condannare le grandi guerre fuori ma poi fatichi a disinnescare le piccole battaglie quotidiane.

Posso e possiamo fare la differenza nel piccolo, senza stare ad aspettare che ci sia il grande cambiamento fuori di noi. Sabato scorso, facendo una passeggiata nel bosco, ho raccolto ogni cartaccia che ho trovato,  una borsata che ho poi buttato via. Mi dà molto fastidio trovare rifiuti in un bosco, raccogliere carte di caramelle, mozziconi e pezzi di plastica è stato un piccolo gesto, ma molto importante. Basta poco: fare una passeggiata con Maddi e con mia zia Carla, aprire Facebook e passare qualche minuto a scrivere commenti gentili alle fotografie postate dai miei amici. Dedicare un po'di tempo a dipingere un biglietto con gli acquerelli, da regalare ad una persona amata. Scrivere ad un'amica che sta affrontando dei giorni di faticoso distacco dal suo bimbo. Arrivare di sera e sapere di aver fatto la mia parte per il pezzettino che mi era richiesto quel giorno. Sì, ognuno di questi piccoli gesti vale, disinnesca violenza e ha un impatto sul grande disegno delle cose. Ne parlo sempre perchè voglio averlo ben in mente ogni giorno mentre sono seduta in casa, mentre cammino per via, quando mi corico e quando mi alzo. Possiamo sempre portare cambiamento ed è questo il nostro scopo qui. Ho trovato un bell'articolo che racconta lo stesso, dicendo che 
"Ci troviamo ora sulla cuspide di un mondo che cambia rapidamente, che sembra colmo di avidità, diffidenza, squilibrio e disconnessione. In questo tempo sembra che vedere la bellezza nella vita non sia una cosa facile. Eppure questo non è solo un pensiero new-age usa e getta, ma una competenza necessaria da essere coltivata oggi più che mai. Un'abilità che dobbiamo aggiungere alla nostra cassetta degli attrezzi per evolvere nella consapevolezza, nel creare legami, nel fare il bene per la terra e per gli altri. Il fatto che la belleza sia negli occhi di chi guarda è una verità assoluta. Tutto si riduce alla percezione e ancora più profondamente all'atteggiamento. La maggior parte di noi ha la saggezza interiore per sentire ciò che risuona come bello, buono e sacro in questa vita. Essa è estratta dal pozzo della nostra anima e come impronte digitali è individuale per ciascuno, richiedendo semplicemente di ritornarci. Questo è ciò che ci fa ritornare a sognare e a creare nuovi modi di essere. Dobbiamo volerne di più, di questa saggezza. Dobbiamo avere sete di bellezza e delle sue qualità che muovono e ispirano. Abbiamo bisogno di sapere che ne siamo tutti degni e degni di condividerlo insieme. Perchè trovare bellezza è adesso imperativo, è l'antidoto, il rimedio con cui allontanare il nulla, la disperazione, il tetro e i sentimenti stanchi del mondo e cambiare per il meglio."

E ancora:
"Come facciamo questo?Prestiamo attenzione. Ci fermiamo. Arriviamo fino alla radice delle cose. Facciamo amicizia con il cuore della vita lenta e ci connettiamo con ciò che è reale e integrale per il nostro benessere. Torniamo alla cura della terra, alla cura delle persone e alla giusta condivisione. Raggiungiamo l'un l'altro, coltiviamo comunità e legami. Creiamo la pratica di vedere la bellezza nella vita e rendiamo grazie per tutto quello che abbiamo.La gratitudine è sempre la pietra angolare fondamentale che ci aiuta a vedere grande bellezza nel micro e nel macro. In aggiogare la natura e l'umanità si può vedere profonda bellezza nelle più grandi e nelle più piccole azioni. Nei volti di persone provenienti da tutti i ceti sociali, tutte le età e fasi, le relazioni, gli amori, le sfide e le gioie. Nel dispiegarsi di una felce, nel cinguettio dello scricciolo, nell'andare e venire delle onde dell'oceano. Tutte queste piccole cose chiedono a noi di onorarle e rendere grazie. Tutte ci chiedono di mostrarsi e di vederle davvero. Nel coltivare una pratica di vita lenta e di gratitudine, noi vediamo la bellezza ovunque. Assistiamo all'alba più gloriosa, all'odore di uno del neonato, al tocco di un amante, tirando le radici dalla terra, raccogliendo uova calde dal nido o osservando il seme che germoglia. Quasi tutti questi minuti avvenimenti sono banali e tuttavia sacri e innegabilmente belli se li consideriamo così. Rallentando ci si rende conto che il mondo che sembra duro e crudele è anche capace di così tanta incredibile abbondanza, connessioni dinamiche, creatività e un incommensurabile potenziale di possibilità. Lo vediamo quando cambiamo prospettiva. Vedere la bellezza è essenziale, ora più che mai e si offre a noi, di volta in volta, rimanendo pazientemente in attesa che noi prendiamo nota e diventiamo attenti. Dobbiamo stabilire un'alleanza con la bellezza, per fare le scelte necessarie al mondo. Nelle parole di Emerson: "Anche se viaggiamo in tutto il mondo per trovare il bello, dobbiamo portarlo con noi o non lo troveremo".La nostra cultura deve semplicemente cambiare il modo in cui vediamo le nostre esperienze, le nostre percezioni e diamo spazio alle nostre osservazioni e alle nostre interazioni. Ogni momento è un dono. Ora è il momento di lasciare il vecchio paradigma. E' tempo per i modi obsoleti di cadere, iniziando di nuovo, andando avanti con un nuovo modo di pensare. Dobbiamo usare questa nuova abilità per vedere le nostre esperienze come opportunità di trasformare oltre misura e di metterci in contatto con le nostre comunità e la nostra terra. Abbiamo bisogno di continuare a sognare i grandi sogni necessari a creare un cambiamento reale e tangibile. Dobbiamo alzarci ed essere la medicina necessaria in questo mondo. Inizia con vedere la bellezza."

Cosa posso fare oggi, per disinnescare violenza?