Stamattina abbiamo approfittato di un giorno di congedo parentale per andare a fare una passeggiata tutti insieme sulle colline di Collalunga, verso Sant'Antonio di Boves. Negli scorsi giorni è caduta molta pioggia e il bosco ha riacquistato colori verdi brillanti, lasciando per ora poco spazio agli ocra e agli arancio dell'autunno, dopo un'estate torrida e secca. Ma il cambio di stagione c'è e si avverte da altri piccoli segnali: il canto delle castagne che cadono a terra, tonfi che danno ritmo al camminare e fanno risuonare il sottobosco. La nebbia oggi copriva la cima della Bisalta e delle altre montagne, rendendo tutto più ovattato e la luce più morbida.
Dopo aver camminato tra dei vigneti, sul crinale della collina, abbiamo incontrato nel bosco gli abiti antichi del progetto artistico "Radici nel bosco". Questi abiti vivranno qui per un anno, in mezzo agli alberi: sono arrivati il 20 agosto 2015 e qui resteranno esposti al vento, alla pioggia, alla neve, a tutti i movimenti del bosco. Colonizzati via via da piccoli insetti, da foglie cadute, dalle zampette curiose di chi si posa sui rami in cerca di riposo, gli abiti stanno diventano parte del bosco, vi si fondono, ne rendono visibile la vita nascosta.
Abbiamo osservato gli abiti, camminato piano tra gli alberi per avvicinarli, poi abbiamo proseguito lungo il sentiero. L'arte non è tale se non ci interpella, se non ci comunica qualcosa.
Cosa, mi sono chiesta, mi dicono questi vestiti bianchi appesi tra i rami? Cosa possono insegnarmi?
Mi è subito venuto in mente che mi insegnavano il lasciar andare, il non attaccamento. L'impermanenza di tutte le cose e l'arte di distaccarci da ciò che è superfluo, l'abbandonare le nostre (mie) manie di controllo e di perfezione.
Ma non era questa la vera lezione di radici nel bosco, per me, oggi. In questi giorni sto riflettendo, meditando, su un concetto simile ma dalle diverse sfumature: non tanto, non solo, il lasciar andare ciò che non mi serve e che mi impedisce di vivere in pienezza e lentezza, ma sopratutto il lasciar accadere. Domenica mattina sono stata ad un seminario di yoga che aveva come titolo "Seminario per la rinascita" in una manifestazione intitolata quest'anno Radici (coincidenza?). Abbiamo praticato delle asana, degli esercizi per riattivare il prana e declamato mantra di auto rafforzamento secondo l'insegnamento di Yogananda, praticato alcune serie di saluto al sole. Gli esercizi fisici erano intervallati da meditazioni con campane tibetane e olii essenziali come quello di cedro, lidsea, palmarosa, sandalo e incenso. Abbiamo provato a lasciar arrivare l'ispirazione, a fissare gli obiettivi dai quali volevamo ripartire, a delineare con più chiarezza cosa volevamo portare e donare al mondo. Mi sono venute in mente, durante le meditazioni, alcune ispirazioni molto forti, che però ho subito tentato di ricacciare, ritenendole troppo impegnative, stancanti. Allora sto meditando sul lasciare accadere, lasciare che i sogni e le ispirazioni arrivino, che parlino e suggeriscano, invece di schermarmi e allontanarli. Lasciare che le cose arrivino, rimanere aperti: anche se non è ancora il tempo giusto per realizzarle. Lasciarsi essere, lasciarsi accadere.
Poco dopo aver trovato gli abiti nel bosco, mentre camminando pensavo proprio a queste parole, abbiamo trovato una foglia , appesa ad una ragnatela sottilissima, ondeggiava in mezzo al sentiero a circa un metro e mezzo di altezza. Si lasciava accadere, semplicemente. Era. Senza timore, volava.
Gli abiti nel bosco si lasciano accadere, senza protezioni o confini, sono: lasciano che arrivi il nido, la rugiada. Non scappano, non lottano, ma stanno. Mettono appunto radici e lì si aprono a ciò che di meglio possono offrire, senza remore.
"Cos è l'esistenza? In fin dei conti dovremmo essere consapevoli che l'esistenza è - nel suo complesso- vivere in una succà*: in una precaria condizione protetta" Rabbino Benedetto Carucci Viterbi
* capanna eretta per la festa autunnale di Sukkot, in ricordo delle capanne costruite dal popolo ebraico durante l'esodo nel deserto. Sono capanne transitorie, con il tetto di canne di bambù, rami di palma o di sempreverdi, gambi di mais, strisce strette di legno grezzo.