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domenica 20 settembre 2015

Scuola come comunità


 Sto svolgendo un progetto di tirocinio a scuola legato all'inserimento nelle nuove classe dei bambini che iniziano la Scuola dell'Infanzia e la Scuola Primaria. Quest'anno il tirocinio mi vede particolarmente sensibile: è già solitamente un'occasione di confonto con le altre maestre e con il sistema scolastico in generale, ma ora che sono mamma è interessante notare come i miei due ruoli, di insegnante e di genitore, si trovino a volte in conflitto, non sempre d'accordo, quasi sempre nel dubbio. Inevitabilmente, ogni volta che sono in una classe, ora guardo a quei bambini non solo come potenziali alunni ma anche come potenziali figli, soprattutto alla Scuola dell'Infanzia. Il mio sguardo sulle dinamiche in aula è allora piuttosto particolare rispetto a quello delle mie compagne che sono molto più giovani e inevitabilmente il transfert si mette in moto: e se quel bambino che piange disperato fosse mia figlia? E se fossi io la mamma che ha accompagnato a scuola stamattina quel bambino che inizia la prima Primaria? E se fossi io ad aspettare fuori dalla scuola che finiscano le lezioni del primo giorno, orgogliosa e felice? Questo doppio ruolo è spesso faticoso: come insegnante a volte mi trovo a sanzionare comportamenti che non sanzionerei come genitore (niente di particolare, anche solo il dover rimproverare un bambino perchè arriva a scuola in ritardo) oppure a considerare insistenti e apprensive le domande di un altro genitore, le stesse che però farei probabilmente anche io...è lo stesso dilemma del guidatore e del pedone sulle striscie pedonali: se siamo alla guida ci infastidiscono i pedoni e viceversa, ma in questo caso io sono sempre simultaneamente mamma e maestra, due identità che non sempre coincidono.


 Ad aggiungere ulteriore movimento alla mia capacità critica, seguo con grande interesse pagine FB e blog completamente diverse, di famiglie dedite all'homeschooling/unschooling e di educatori o docenti invece completamente a favore della scolarizzazione. Io leggo tutto e da tutto mi lascio interrogare, mi ritrovo ad essere d'accordo con posizioni di entrambi gli schieramenti ed è una bella ginnastica mentale interagire con entrambe le parti, situandomi nel mezzo. Ho molti dubbi, su entrambe le scelte, ma considero fecondo questo interrogarmi, e penso che dovrebbe farlo ogni insegnante, ogni genitore. Spesso non esiste una sola scelta giusta e come insegnante, è mio dovere conoscere anche chi vive esperienze diverse dalle mie, confrontarmi, mettere in discussione ciò che studio e che vivo. Ne scrivevo già lo scorso anno: un buon insegnante deve saper essere un buon homeschooler, nel senso che deve saper inventare, proporre, ispirare attività nuove e originali, stimolanti e inusuali, invece che attenersi al libro di testo e alla didattica miniesteriale. Certo è molto impegnativo uscire dal seminato, ma è l'unico modo sensato di "fare scuola", come l'unico modo di fare qualsiasi altra cosa. Penso che la scuola sia un ambito importante di socializzazione e di apprendimento, ma che non sia e non debba essere l'unico. Ho imparato e sto imparando molto dai miei (lunghi) anni come studentessa, ma altrettanto se non di più ho imparato fuori, fin da bambina. È importante allora che la scuola non riceva una delega educativa da parte dei genitori, delle famiglie: scuola sì, ma l'apprendimento migliore e principale è e deve essere nel quotidiano, a casa, in tempi non strutturati e vuoti. La scuola non può e non deve essere un riempitivo, un parcheggio: la scuola è un'occasione importante per creare cittadinanza, confontandosi con gli altri, imparando a condividere, a dialogare, a superare i propri limiti. Ma la scuola da sola non basta, si apprende cittadinanza e si apprende sapere innanzitutto nella vita vera, non in tempi e spazi chiusi, e questo è uno dei compiti principali di noi genitori: essere vettori di conoscenza, di esperienze arricchenti, sia culturali che di incontro e dialogo con il mondo.


 Condivido lo spirito di queste parole di Tom e Anna, genitori viaggiatori: 
"Penso semplicemente che la scuola sia molto più di un semplice studiare biologia, geografia e inglese (tutte queste cose sarebbe si imparerebbero facilmente viaggiando). La scuola non è solo alzarsi presto, essere puntuali e essere costretti a imparare cose non necessarie. È una grande lezione di vita sociale, di vita tra molte persone diverse, di relazioni con gli altri e con se stessi. Incontrare persone che forse non incontreresti nei luoghi dove i tuoi genitori ti portano. Incontrare persone non scelte da te. Incontrare i buoni insegnanti e i cattivi maestri. E imparare ad affrontarli. [...] Perché voglio che loro incontrino il mondo reale: tutto quello che il mondo offre. Tutti i ragazzi difficili, tutti gli insegnanti sleali."
Guardando la scuola dal di dentro, come tirocinante, a volte incontro realtà tutt'altro che auspicabili per un bambino, come molte volte incontro maestre bravissime, entusiaste e preparate. Penso che la scuola sia innazitutto questo, ed è proprio il motivo per cui sto studiando per diventare maestra, e lo faccio dopo una laurea in Scienze Politiche: fare scuola è ricreare il villaggio, in cui i figli non sono cresciuti solo dai genitori e non vivono solo con i proprio fratelli o sorelle, ma si vive insieme, accanto, imparando a tollerarsi, lasciandosi ispirare dagli altri, sviluppando un senso di giustizia, imparando quali regole seguire e quali no. Come insegnante voglio offire questo: una collaborazione nel crescere con amore e sostegno anche i figli degli altri. Come genitore desidero questo: che i miei figli imparino a vivere in un villaggio con gli altri, a vivere in comunità e per la comunità.
Rimango dell'idea che una scolarizzazione precoce sia sbagliata e che la scuola dovrebbe occupare soltanto un tempo limitato nalla vita quotidiana dei bambini, rimango dell'idea che i primi maestri siano e debbano essere i genitori e che si impari molto, moltissimo anche dalle socializzazioni informali (stando da soli, stando con i nonni, stando all'aperto, viaggiando, occupandosi di cure verso altre persone, verso piccoli animali, leggendo per conto proprio ciò che ci piace, andando a mangiare in un ristorante esotico...).
Penso che la scuola sia uno strumento utile di confronto e di crescita e per questo voglio farne parte, mettendo a disposizione il mio sapere e il mio tempo. 
 
“Nell’epoca del capitalismo avanzato, tecnologico, assimilato da ciascuno di noi persino nei suoi risvolti psicopatologici, compito dell’educazione [...]diviene non tanto quello di creare strumenti di formattazione e adattamento del singolo, quanto quello – al contrario – di formarne la resistenza identitaria, attraverso l’apertura reale all’altro, il recupero dell’educazione come attività universale di cura, lo spostamento dall’io narcisistico alla comunità” Claudia Secci su Educazione Democratica




giovedì 11 giugno 2015

Imparare a stare nelle domande

La scorsa settimana, una sera tardi, dopo aver allattato e fatto addormentare Maddalena, ho sentito l'urgenza di prendere un foglio di carta e di scrivere una lista, la mia "bucket list", dei sogni e degli obiettivi che voglio realizzare nella mia vita. Ho scritto di getto quello che mi veniva in mente e da questo semplice esercizio è partito un lungo lavoro di riflessione su di me, un lavoro di scavo e conoscenza, che durarà a lungo e che ogni giorno sta aprendo in me spunti nuovi, domande, non sempre facili da affrontare, ma necessarie per andare a fondo.
Avete mai fatto un esercizio del genere?
Già solo il semplice scrivere i sogni uno ad uno è stato molto strano, un'esperienza particolare.
Senza ancora scendere nel dettaglio ad analizzarli uno per uno, la loro scrittura mi ha insegnato molto, innanzitutto perchè mi ha mostrato aspetti di me che non credevo di avere. Ad esempio, mi sono molto stupita di avere scritto solo 60 punti nella lista, mi immaginavo, quando ho iniziato a scrivere quella sera, che ne avrei desiderati molti di più e che avrei impiegato qualche giorno a scrivere la lista. Invece, in pochi minuti avevo scritto tutto, appena due facciate di un foglio di carta.

....fare il giro del Monviso
....vivere almeno un mese a Gerusalemme
....creare un asilo/scuola nel bosco (anche solo per qualche settimana estiva)
....andare a Machu Picchu
....fare un corso in una scuola/associazione steineriana
....fare il Cammino de Santiago
....pubblicare il libro di racconti...


Un altro aspetto particolare è stata la sensazione che ho provato scrivendo, di pienezza, come se in fondo non fosse così importante realizzare quegli obiettivi, non fossero così fondamentali ma anzi, la sensazione persistente era che tutto sarebbe andato bene lo stesso. Anche se non li avessi raggiunti, sarei stata lo stesso felice. Questa sensazione è stata ed è al contempo confortante e disorientante. Confortante perchè è come se la nascita di Maddalena avesse calmierato la mia sete, la mia irrequietezza, la mia insoddisfazione. So che la sua nascita e la sua crescita sono il mio progetto più grande, che se anche il crescere Maddalena ( e i suoi fratelli o sorelle, se ci saranno) con amore e cura fosse l'unica cosa che realizzerò, sarà comunque qualcosa di grande e sarà certamente abbastanza. Di fronte a questo affettivamente molti se non tutti i punti della lista diventano irrilevanti, non mi importa così molto se non andrò a Bali, non realizzerò una mostra di fotografie, non scriverò una tesi di ricerca, non metterò su uno spettacolo di teatro su Il principe d'Egitto...
Questa sensazione di appagamento è indubbiamente molto bella, mi calma e mi nutre, di fronte al prodigio della nostra bambina tutto mi pare meno degno di nota e il tempo e le attenzioni più rilevanti quelle dedicate a lei. Al confonto, qualsiasi lavoro mi sembra meno importante, qualsiasi viaggio esotico irrilevante, se comporta il non essere con Maddalena.
Nello stesso tempo questa è una sensazione disorientante perchè non avrei mai pensato di poterla provare, anzi, avevo sempre guardato con sufficienza le mamme che affermavano questo concetto, giudicandole come donne che rinunciavano ai loro interessi e alle loro passioni per chiudersi nella maternità. La nascita di Maddalena, di nuovo e ancora, fa cadere le mie barriere mentali e mi rende umile e attenta.
Però, mi dico,la maternità, non dovrebbe essere apertura? Apertura alla vita, al cambiamento, agli altri? Un mettersi al servizio non di uno ma di tutti?
Lo scrivere la lista mi ha lasciato queste domande, queste due sensazioni particolari, a cui sto cercando di trovare risposta. In realtà, sento e so che questo dilemma è comune a tutte le mamme e che non ci sarà risposta, ma sarà un quesito che mi accompagnerà in sottofondo per molti anni a venire: come mediare tra il tempo dedicato ai nostri figli e quello dedicato al lavoro? Come portare avanti le nostre passioni senza sottrarre tempo ed attenzioni alla nostra famiglia?


Riflettendo ancora mi dico che il tempo dedicato al mio lavoro non sarà tempo tolto a Maddalena, se visto nell'ottica di un'occasione per migliorare il mondo ottorno a lei, di una occupazione che mi permetterà di avere impatto sul contesto che ci circonda e di renderlo più bello e più giusto, anche per lei.
La scrittura della lista ha fatto maturare in me altre domande, sento che ha aperto, nella sua banalità di esercizio, come una voragine di idee e sensazioni, che fatico a decifrare.
Ne mastico un pezzetto ogni giorno, mi appunto cosa riesco a tirare fuori dai pensieri.
Se mi ascolto con attenzione sento che in questo momento non avrei le forze fisiche e mentali per iniziare o portare avanti altri progetti oltre all'università e va bene così, perchè le mie energie sono tutte concentrate alla cura di Maddalena.
Il segreto per affrontare queste domande forse è proprio qui, nell'ascoltarmi e seguire con onestà il mio sentire del momento, senza giudizio, seguendo quello che mi fa stare bene, avendo cura di me. 
E il comprendere che non devo necessariamente avere subito tutte le risposte, ma anzi, posso imparare a stare in questi interrogativi e che troverò col tempo, nel tempo giusto, le risposte e le strategie di cui necessito.
Intanto, come scrive il pediatra Gonzales in quel libro straordinario che è Besame Mucho:
"Tempo fa ho letto il commento di una madre che, stanca di ascoltare critiche, aveva deciso di sostituire "adesso non lavoro" con "sto lavorando ad un progetto pilota di psicologia applicata; stiamo studiando l'effetto dell'attenzione continua personalizzata sullo sviluppo psico-affettivo del lattante".



mercoledì 4 febbraio 2015

Conserva e moltiplica


Stamattina al fiume, nella neve caduta stanotte, c'erano le tracce di qualcuno passato lì presto, prima di me, con gli sci da fondo, immagino in silenzio, nelle prime luci del giorno.
Oggi Simone stava pulendo i terrari delle formiche che alleva, quando in un terraio ha trovato tutte le formiche morte, tranne una: se ne andava in giro con un uovo in bocca, cercando una strada, con tenacia, cercando la sopravvivenza.
L'altra sera, a teatro, abbiamo ascoltato suonare un piccolo flauto ed un clarinetto ritrovati nel ghetto di Terezin, rimessi a nuovo, custoditi con cura.Immagino chi ha scelto di portarseli dietro, in quella valigia preparata in dieci minuti senza preavviso, chi ha scelto tra i suoi oggetti più preziosi degli strumenti musicali, totalmente inutili e per questo indispensabili in quella deportazione.
Sul balcone, in un vaso dimenticato, sono spuntate delle primule gialle, nonostante il clima di febbraio: sono spuntate e basta, senza riflettere, donano il loro colore ad un cortile spoglio, semi nascoste dietro il secchio in cui raccogliamo la carta da riciclare.
La pasta madre con cui abbiamo ricominciato a fare il pane è solo farina e acqua, null'altro. Da sola riesce a smuovere e far lievitare una massa superiore al suo stesso peso.

Forse è tutto qui il senso ultimo, anzi ne sono sicura: solo la bellezza, l'arte, possono salvare il mondo e lo fanno, sempre. In questi giorni di luna piena in cui le notti sono insonni, in cui si avvicina a pasi da gigante il mio trentesimo (!) compleanno che sarà la prossima settimana, in cui cerco di immaginare la grande incognita che porteranno i prossimi mesi, penso a quale possa essere il mio scopo qui, in questa vita.
Ci penso spesso, a dire la verità, a quale sia il mio ruolo, quale sia il verso che sono stata mandata a scrivere. Semplicemente, penso che sia questo: sono qui per accorgermi della bellezza, per vivere con consapevolezza e curiosità ogni momento della vita, per goderne.
E sono qui per aumentarla questa bellezza, in ogni modo che conosco: scattando una fotografia che pubblico qui, scrivendo, giocando con un bambino, prendendomi cura dei sentieri mentre vado in montagna, come mi ha insegnato mio papà senza parlare ma solo con l'esempio, lui che si ferma sempre a far defluire l'acqua dai ruscelli ingorgati, scavando piano con la punta del bastone, perchè l'acqua del pendio non eroda tutta la strada.
Questo il mio scopo: gioire della bellezza e moltiplicarla, poco importa come.
Ecco che con questa semplice chiarezza svaniscono interrogativi di anni, su quale sia la mia strada, su quale sia il lavoro che devo fare, su quale sia la direzione giusta.
Non importa poi molto in fondo, posso moltiplicare la bellezza lavorando come maestra, oppure come doula, o aiutando un bambino nei compiti, o scrivendo un libro, o vendendo cartoline con le mie fotografie, o recitando a teatro...
Allora il mio curriculum così eterogeneo, che a prima occhiata pare totalmente sconclusionato e privo di senso logico, acquisisce un senso più grande. Ecco, pare che dica, il curriculum di una persona che cerca e che lascia dietro di sè più bellezza e più grazia di quanta ce n'era prima. Penso che dica questo il mio curriculum, voglio che continui a dirlo, sempre di più.Se riesco ad essere presente in ogni istante, ad essere gentile, ad essere disponibile a ciò che quel momento mi richiede, non importa cosa sto facendo, non importa se ciò che vivo non ha una chiara etichetta, non ha un nome preciso.




"The world did not have to be beautiful to work. But it is." - Mary Oliver-
Intanto fuori continua a nevicare, tra poco andrò a prendere a scuola un bambino che è appassionato dal Titanic e mi spiegherà di nuovo come è avvenuta tutta la famosa storia del transatlantico naufragato. Qualcuno avrà spalato la neve dal marciapiede, per rendere più agevole il camminare.
"Bimbi, questa mattina ci salutiamo in modo diverso: non con il solito buongiorno ma andando alla finestra e rimanendo cinque minuti in silenzio a guardare la neve.
Prendiamoci il tempo per questa bellezza.
Quando da grandi sarete tristi, perchè può capitare, ricordatevi di alzare gli occhi e cercare il bello.
Perchè il bello c'è, in questo mondo"
( bel racconto di un episodio accaduto in classe, riportato da un amico educatore stamattina)


giovedì 11 settembre 2014

Riflessioni sulla scuola


Sebbene io stia studiando per diventare maestra, mi affascina e mi interessa molto il mondo dell'home-schooling (scuola parentale/genitoriale), dell'un-schooling e gli altri metodi di apprendimento considerati alternativi. Proprio perché farò parte del sistema di apprendimento istituzionale e perché da alcuni anni lavoro comunque a contatto con il mondo della scuola e con le sue problematiche, sia come educatrice che come insegnante alle superiori, che come aiuto nei compiti extra-scolastici, mi interessa moltissimo conoscere anche tutto il resto, i diversi modi di imparare, le differenti esperienze.
Negli anni passati ho letto con estremo piacere e curiosità l'avventura nell'homeschooling di Sybille e dei suoi figli e ora leggo spesso di Beauty That Moves e di altre famiglie che scelgono metodi di apprendimento non istituzionali.
Può sembrare strano che una futura maestra si appassioni ad esperienze di apprendimento diverse da quelle che proporrà, ma molto è quello che i diari di queste famiglie possono insegnare a me, non solo dal punto di vista pratico ( quanti bei lavoretti! che creatività!) ma proprio riguardo alla passione per l'imparare, per lo scoprire.
Quest'estate ho letto un libro molto interessante, "Non sono mai andato a scuola", di Andrè Stern, nel quale l'autore, ora autore, liutaio, compositore, racconta la sua infanzia senza scuola ma con attività diverse che via via seguivano un suo forte interesse specifico come i treni, i motori, la lavorazione del rame, la fotografia, la musica...un racconto entusiastico, in cui Andrè fa emergere la grande competenza da lui acquisita fin da bambino in molti argomenti scientifici, la sua voglia di conoscere, la struttura delle sue giornate totalmente dedicate all'apprendere nel modo e nel tempo che più gli piaceva, senza alcun limite di argomento.
Mi sono ritrovata in molte citazioni di Andrè, come nella visione del tempo non rigidamente divisa tra lavoro (o studio) e tempo libero ma come un continuum: anche le mie giornate, le mie settimane sono così, non c'è netta alternanza, tutto è lavoro e nel contempo tutto è svago, con fluidità.
Un altro aspetto in cui mi sono ritrovata è la grande eterogeneità esperienziale del curriculum di Andrè, che nella sua vita ha studiato di tutto e ha seguito fin da bambino corsi di ogni genere, dal teatro al canto armonico, alla danza, a corsi di ceramica...Lo stesso è per me, che ho seguito corsi molto diversi e continuo a fare lo stesso, non per disorientamento, bensì per voglia di imparare ed estrema curiosità.
Altri aspetti dell'esperienza di Andrè invece mi hanno messa in discussione, ad esempio quando racconta di essersi appassionato da bambino, per lunghi periodi totalmente e unicamente ad un unico argomento. Spesso, lavorando come educatrice, mi imbatto in bambini che hanno un interesse monotematico in quel momento, siano gli aerei piuttosto che gli insetti, e cerco sempre di ascoltarli in questo ma propongo attività diverse, cercando di non focalizzarli solo su quell'argomento. Anzi, nel tempo in cui sono con me, cerco proprio di presentare argomenti e giochi completamenti diversi ogni volta. Il racconto di Andrè mi ha fatta riflettere, forse sarebbe meglio assecondare completamente quella passione infantile e non cercare di sviarla? Non sono ancora giunta ad una conclusione, ma alcune parti di questo libro mi hanno fatta riflettere profondamente.
Sicuramente ho apprezzato il suo racconto di bambino che ha vissuto (e di adulto che continua a farlo) completamente nella società, nella vita quotidiana e familiare, non in spazi "per bambini", chiusi e artificiali, non in "attività per soli bambini".
Una dinamica che riscontro spesso nel mio lavoro è di bambini che hanno pochissimo contatto con la vita vera, perché vivono appunto, in spazi da bambini, ma non hanno quasi mai l'occasione di stare con i grandi e di accompagnarli nelle normali attività quotidiane come fare la spesa, andare dal meccanico, andare a trovare una persona in ospedale...queste attività vengono ritenute noiose per un bambino o poco adatte a lui, con la conseguenza che egli sarà un bambino che non ha idea di cosa gli adulti, in primis i suoi genitori, vivano ogni giorno, ma avrà vissuto solo lo spazio isolato della scuola, del doposcuola, del corso di calcio, del corso di danza.
Penso che un bambino abbia il diritto di vivere il più possibile la vita quotidiana "reale" della sua famiglia, della sua società e non surrogati per bambini della stessa, riempitivi di tempo.
Un video molto bello sull'homeschooling è quello di Logan, ragazzino che racconta così le sue passioni, la sua libertà quotidiana nell'apprendere soprattutto nella pratica dello sci che è il suo primario interesse:
 "Skiing to me is freedom, and so is my education. It's about being creative, doing things differently, it's about community and helping each other. It's about being happy and healthy among my very best friends [..] I do know what I might wanna do when I gow up, but if you ask me what I wanna be when I grow up, all I know is that I want to be happy!"

Penso che sia essenziale insegnare questo ai nostri bambini, ai nostri ragazzi, prima del contenuto delle diverse discipline: che apprendere è divertente, entusiasmante, creativo, bello come qualsiasi altra passione che abbiamo. Che la scuola non è un tempo chiuso e rigido in cui si imparano cose inutili, ma che ci può servire per imparare argomenti che ci interessano e ci incuriosiscono. Ovviamente, questo non dipende solo dai bambini, ma soprattutto dalla categoria in cui sarò io, quella degli insegnanti e da quella in cui sono i genitori. Tocca a noi essere i promotori di questa passione, tocca a noi lasciar perdere il nozionismo fine a se stesso, la burocrazia, ma portare alla luce il bello dell'imparare. Per questo leggo con grande interesse storie di homeschooling e ne condivido in toto la filosofia, penso che lo stesso dovrebbe fare ogni insegnante.
 Il nostro scopo, lo scopo della scuola, dovrebbe essere quello di spalancare le porte alla conoscenza pe rogni bambino, con gioia, con allegria, con originalità, nonostante i tanti inutili lacci e lacciuoli della burocrazia scolastica e del sistema scolastico istituzionale.
Per farlo, dobbiamo essere noi, per primi, adulti liberi e convinti delle nostre scelte, sia come insegnanti che come genitori.
La passione, in ogni cosa, si insegna solo con l'esempio autentico.
Questo è lo spirito con cui nei prossimi giorni sarò ad un seminario a Piacenza con l'ostetrica Ibu Robin Lim e con altre operatrici delle nascita, per imparare cose nuove, con passione.
Con libertà, prendendomi tempo per inseguire un interesse autentico.




                                                                  [Lago di San Bernolfo]

sabato 30 agosto 2014

Il gioco delle matrioske


In questa estate di lavoro ho imparato moltissimo sul mio ruolo di educatrice.
A differenza di altri mestieri, questo è una sfida continua, perché mentre lavoro con un bambino, per un bambino, molto più grande è il lavoro che devo fare su me stessa, con me stessa.
 Essere un educatore non è semplice proprio perché richiede questa doppia fatica: ogni ora, ogni gioco, mettono in discussione prima di tutto me, mi interpellano in modo profondo.
Dal di fuori sembra facile, scontato: in fondo, si tratta solo di giocare con dei bambini!
Di accompagnarli al parco, di passare con loro mattine o pomeriggi, di compare un gelato...
In realtà no: per essere un educatore bisogna prima di tutto, prima ancora che arrivino i bambini, saper stare con se stessi, in propria compagnia. Conoscersi, conoscere la propria storia, il proprio vissuto, saper riconoscere e gestire le proprie emozioni. Un bambino ci interpella sempre: ci interpella con i suoi bisogni, con le sue richieste, le sue domande, le sue paure.
Ci interpella ad aver affrontato noi prima quei bisogni, quelle domande, quelle arrabbiature, quelle paure. Un bambino mette in crisi, porta allo scoperto ricordi, ci mette di fronte a scelte valoriali, a compromessi, interroga la nostra verità.
Cosa voglio trasmettere a questo bambino mentre giochiamo insieme?
Cosa considero giusto, cosa sbagliato? Cosa correggo, dove intervengo, dove lascio correre?Perché?
Cosa voglio insegnarli? Cosa lui può insegnare a me?
Cosa ricorderà di quanto facciamo insieme, cosa vorrei gli rimanesse dopo questa estate, dopo questi mesi?
Per questo motivo essere un educatore, una maestra, un genitore, presuppone questo doppio gioco: io sto con te, ma intanto è su di me che lavoro, giorno dopo giorno, per capirmi, conoscermi.
L'educazione non è e non può essere a senso unico, non è un trasmettere e basta, dall'adulto al bambino, ma un mescolarsi continuo, un cambiare posizione. Mi piace questo lavoro, che è una sfida, che spesso lascia sfibrati e senza forza perché no, non si è trattato solo di giocare o di badare ad un bambino, ma di mettersi in ascolto profondamente, di lasciarsi interpellare nelle nostre debolezze.
Ad esempio, mi sono resa conto di uno scoglio: io mi trovo molto bene con bambini vivaci, con quelli definiti (a torto) irruenti e impossibili. Mi diverto, mi affascina lo spirito libero e ribelle, l'entusiasmo, l'energia. Fatico moltissimo invece a stare di fronte ad un bambino calmo, magari più debolino, più fragile, più spaventato, timido, che piange spesso e facilmente...è una fatica grande.
Ma non è la fatica solo di quel momento, di spronare, incoraggiare, spingere a provare, è una fatica che mi dice qualcosa di me in senso più ampio. Cosa quel bambino mette in discussione in me?
 Forse la mia irrisolta volontà di essere uno spirito catalizzatore, estremamente carismatico, simpatico e brillante "nella società" quando in realtà non è così, io sono una persona molto più tranquilla, introversa, che agisce a piccoli passi.La mia difficoltà come educatrice allora non è solo nello stare lì al parco giochi, con un bambino che ha paura di andare sull'altalena, di incontrare gli altri bambini, ma è un portare alla luce altre caratteristiche mie, sulle quali c'è ancora da lavorare.
Accettare l'individualità specifica di un bambino, anche quando non mi piace, quando la trovo sciocca o irritante, è nel contempo accettare le parti di me che non mi piacciono, accoglierle, capirle.Buffo come dietro ad una passeggiata, ad una merenda condivisa, ci siano tanti pensieri, tanto scavo da compiere. Interessante notare come le emozioni che vorrei contenere in un bambino e che mi danno più fastidio forse sono proprio quelle che fatico a gestire in me o che ho faticato a gestire da bambina.Ma non rinuncerei mai a questa scoperta continua, di me, dei bambini che seguo, della molteplicità umana, in fondo, perchè se provo a capire un bambino inevitabilmente mi trovo a confrontarmi anche e soprattutto in modo molto forte con le scelte, le idee, i valori dei suoi genitori.
Allora ancora altre sono le domande che sorgono, molte le finestre che mi si aprono sulle diverse realtà di tante famiglie. Di nuovo si scava, per cercare di capire il bambino interiore in quell'adulto, i suoi bisogni, le sue paure, il suo percorso. Un gioco di matrioske, dove strato dopo strato si cerca di trovare luce nel guazzabuglio delle anime umane, un gioco in cui come sempre nella vita, tutto è collegato. Dal basso, è da lì che si comincia, ed è uno scavare e un innalzarsi allo stesso tempo. Scavare nella propria storia e aiutare un bambino a creare la sua storia, quella giusta per lui, anche quando io la scriverei in modo diverso, anche quando cambierei personaggi e sceneggiatura.
Imparare a stare nella situazione e alla fine di tutto, sperabilmente, trasmettere ad ogni bambino che incontro come stare nella sua specifica individualità e come farla sbocciare nei tempi, nei modi e nelle emozioni che le si confanno.



 

lunedì 21 luglio 2014

Dal basso




Interessante notare come lavora l'universo: ho studiato Relazioni Internazionali perché volevo risolvere i conflitti tra le nazioni e mettere d'accordo la comunità internazionale, poi pian piano ho capito che per creare la pace bisognava scendere, fino ad arrivare dove sono ora, alla consapevolezza che la pace si fa un bambino alla volta, dal basso.
Ho voluto studiare di nuovo, questa volta per diventare una maestra e poi ancora, più in basso, per diventare doula, all'origine della nascita.
Dalle assemblee generali ONU a cui sognavo di presiedere alle assemblee molto più semplici di una mamma che incontra la sua ostetrica.
La scorsa settimana ho organizzato come volontaria l'estate ragazzi nel mio paesino, come lo scorso anno. È stata una settimana intensa, impegnativa e molto bella, in cui cercare di dare spazio alle sensibilità di ogni bambino, al particolarissimo modo di essere e di esprimersi di ognuno, una settimana in cui cercare di dare a ciascuno l'ascolto necessario. Non è sempre facile, anzi, ma come mi ha detto una mamma proprio la scorsa settimana "questa è la tua missione".
Intanto sto seguendo una giovanissima ragazza in attesa di due gemellini che nasceranno che tra poche settimane. Le do una mano a studiare italiano e la accompagno nel mio tirocinio come doula, proprio stamattina l'ho accompagnata in ospedale per l'ecografia e alcuni colloqui con le ostetriche.
Ho moltissimo da imparare, da studiare, da impratichirmi tra burocrazie complicate, protocolli ospedalieri, bisogni da accogliere a cui dare risposta.
Mi piace moltissimo questo viaggio, questo imparare continuo, mi piace svegliarmi felice per il lavoro che mi aspetta e mi emoziono al pensare che sarò veramente una maestra e una doula, tra pochi anni. Non mi sembra vero di poter fare due lavori belli così, di incontro, di crescita reciproca.
Le storie di alcune mamme mi raggiungono e mi parlano, anche tramite questo blog, e ne sono grata.
Da qualche settimana sono in ascolto della storia che sta narrando questa mamma in un momento molto molto difficile e imparo da lei, come doula e come donna, ogni giorno.




Ho scattato queste fotografie al giardino di fiori per le api che ha piantato mia mamma in campagna, sono fiori semplicissimi, anche loro ribadiscono che i lavori più grandi e più belli si fanno dal basso:
"ogni neonato che aiutiamo a venire al mondo con dolcezza, ogni neonato che allattiamo, ogni madre che progettiamo, sosteniamo e onoriamo è un passo avanti per una società globale sana.
Sono certa che la conservazione del nostro pianeta e della pace nel mondo possano e debbano essere raggiunte a passi di bimbo"
Robin Lim