mercoledì 2 ottobre 2013

La differenza buona


La scorsa settimana abbiamo avuto la fortuna di poter incontrare e sentire dal vivo Padre Renato Rosso, un missionario dalla vitalità travolgente che da più di 40 anni vive insieme ai nomadi del mondo, iniziando dalle carovane Rom e Sinti di Alba e Torino, ai nomadi del Bangladesh e dell'India con cui vive e viaggia ormai da decenni.
I nomadi, non possedendo terrà, né oggetti oltre a quelli che possono portare con sé, vivono spesso ai margini delle società, nella miseria totale.
Un grave problema è quello dei bambini, che spostandosi continuamente non possono seguire la scuola e non imparando a leggere né scrivere, sono poi spesso in balia di inganni e soprusi, incapaci di difendersi.
Don Renato ha allora ideato delle scuole nomadi, basate cioè su maestri che seguono i bambini e le carovane nei loro spostamenti, che si tratti dei pastori nomadi del Rajastan (Nord dell'India) o degli "zingari d'acqua", i nomadi pescatori del Bangladesh.
La prima scuola mobile è iniziata nel 1993 e ora questa modalità di insegnamento innovativa si sta diffondendo, con beneficio delle intere comunità di nomadi che ne usufruiscono.
La scuola, se ben fatta, cioè fatta con attenzione e amore, è sempre un piantare semi, un donare strumenti per crescere meglio.
Il progetto di Don Renato è bellissimo ed importante, direi commovente: conoscere le parole, conoscere la propria lingua, è un dono preziosissimo per chiunque, soprattutto per chi non ha già nulla.
Qui sul sito di Don Renato potete vedere vari filmati sul suo operato, che noi abbiamo visto proiettati alla conferenza: la sua energia e grande simpatia vi contageranno.
Sentirete parole di apertura, disponibilità e affetto verso culture e religioni diverse dalla nostra e soprattutto la gioia contagiosa di un "povero di Dio" qual è Don Renato, che vive effettivamente insieme ai nomadi di quello hanno loro, con estrema semplicità e senza pretese, "con un'eucarestia, una Bibbia e una candela" come potete vedere qui.
La sua conoscenza del mondo nomade è così vasta da permetterli di essere accolto ovunque con grande benevolenza e di essere testimone autentico di questo stile di vita, con quelli che lui chiama "amici".


Qui di seguito ci sono alcune fotografie scattate al video delle scuole mobili, che raggiungono i bambini ovunque e permettono loro di studiare e imparare, sia nel deserto che sulle barche.
Mi piacerebbe moltissimo vedere una di queste scuole prima o poi, chissà che non accada, magari per la tesi di Scienze della Formazione Primaria, è un sogno che mi è venuto al cuore vedendo questa testimonianza di scuola alternativa.






Dopo l'intervento di Don Renato abbiamo visto la proiezione di fotografie realizzate da Oliver Migliore (le prime due qui seguito ad esempio) e Francesco Milanesio (ultime tre fotografie in bianco e nero qui di seguito) scattate durante un reportage in Bangladesh con Don Renato.
Immagini spesso dure, di grande miseria, lavori terribili (operai che fabbricano e trasportano mattoni, raccoglitori di miele che si sono visti rubare la terra e raccogliendo speso sono attaccati dalle tigri, ragazze di strada...), ma anche immagini colme di umanità, di dolcezza, che come sempre mi hanno fatto amare l'asia.




La conferenza è stata molto bella, non solo per il reportage in sé, ma proprio per l'esempio di speranza trasmesso da Don Renato e da tutti i volti presenti nelle fotografie.
L'impossibilità di essere scoraggiati.
Chiunque di noi ha delle preoccupazioni, piccole o grandi, ma in ogni caso, la nostra vita è privilegiata, i nostri problemi sono First World Problems, problemi che ci possiamo fare solo noi che viviamo dalla parte ricca del pianeta.
Ci preoccupiamo, ci immusoniamo, per problemi che esistono ma non sono decisivi sulla nostra esistenza: in fondo qui nessuno di noi muore di fame.
In questi giorni in cui come molti altri coetanei cerco un nuovo lavoro e i commenti tragici e inutili si sprecano (commenti deprimenti sulla crisi, su noi giovani, sulla Casta, sul governo e così via...), la testimonianza di Don Renato è quanto mai pregnante.
La spontaneità di questo missionario, che vive di niente in mezzo a chi non ha nulla, rinunciando ad ogni comodità, ad ogni carriera o guadagno, mi ha fatto bene, in giorni in cui mi preoccupo tanto ma ho un tetto sulla testa, una casa in cui potrebbero vivere altre 20 persone, ho sempre da mangiare e acqua potabile disponibile, e posso andare in ospedale quando voglio se ne ho bisogno...
Forse, non ho ancora visto abbastanza povertà.
Forse non ho ancora visto abbastanza Brasile, India, Africa, per ricordarmi di tutte le persone incontrate nei nostri viaggi, che vivono con meno di un dollaro al giorno e sorridono...
Perché è questo che deve rimanermi dai viaggi che abbiamo fatto: il sapermi rendere conto che c'è chi vive, ogni giorno, milioni di persone, con un infinitesimo di quello che ho io.
Questo mi deve rimanere, non è necessario un cambiamento radicale, una conversione che mi fa buttare via tutto, quando torno da uno di questi viaggi.
Mi basta ricordare, sapere mettere in prospettiva quello che vivo: la mia esperienza di vita a volte  può essere difficile, ma non sarà mai dura come la vita di chi abbiamo incontrato, mendicante lungo le strade, denutrito, senza alcuna prospettiva di vita...
Allora vado a rivedere qualche fotografia scattata in India (quelle qui sotto) e mi tranquillizzo, perché vedo l'enormità di quello che ho, le enormi possibilità della mia vita e soprattutto l'opportunità di essere d'aiuto qui.
 Il servizio agli altri è sempre il miglior antidoto esistente contro i musi lunghi.
In ogni situazione, in qualsiasi luogo o momento, ognuno di noi può essere la differenza buona, sempre.
 Sarà banale, ma la missione si vive ogni giorno lì dove si è: questa è la lezione più grande che cerco di mettere in pratica ogni giorno.
Spesso sono stanca, sono nervosa, non ci riesco.
Dico troppi no quando dovrei dire sì, mi arrabbio per niente.
Mi rinchiudo sul mio piccolo problema e non vedo cosa c'è da fare attorno.
Che magari è solo preparare un caffè, dare ascolto ad un'amica che ne ha bisogno, mettere più pazienza nei giochi che faccio con il bimbo che guardo, diffondere parole di speranza invece che di scoraggiamento.
Don Renato e la sua testimonianza autentica e creativa, la sue scuole e i suoi maestri viaggianti me l'hanno ricordato.


(queste donne stavano spaccando pietre a mano a martellate per fare il cemento e poi con l'aiuto degli asini o a mano le portavano via in sacchi da 50 kg a testa, con un caldo tremendo...ma erano sorridenti e impeccabili nei loro sari colorati)

7 commenti:

  1. Quanta vita, quanti insegnamenti, quante belle emozioni mi ha scaturito questo post. Grazie di cuore per aver condiviso la tua bellissima esperienza.
    Evocativi anche gli scatti. E' sempre una piacevolezza infinita leggerti =)
    Un abbraccio d'affetto
    Lena

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  2. Grazie Daniela, davvero. Grazie per aver dato, a tua volta, testimonianza a noi.

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  3. Il mio docente di CUltura e filosofia dell'India al corso di formazione per insegnanti yoga ripeteva spesso che per gli indiani la vera realizzazione non è fare carriera, ma svolgere al meglio ciò che si sta facendo, qualunque cosa essa sia. Questa è stata una vera lezione per me che cerco di mettere in pratica sempre. Combattere le lamentele e l'insoddisfazione.
    Bellissimo post! Complimenti!
    Un abbraccio
    Catia

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  4. la meravigliosa dignità dei poveri. penso spesso anch'io che dovrei imparare di più da tutte le persone che ho incontrato fino ad ora. grazie di avermelo ricordato.

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  5. Ogni volta che ho bisogno di respirare aria buona vengo nel tuo blog.....hai una bellissima anima,fortunati quelli che ti hanno come amica,
    grazie per il tuo splendido blog,
    un abbraccio,Maria.

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  6. ...E' sempre un piacere leggere quanto scrivi, guardare le tue immagini, realizzare che abitiamo vicine ed intanto scoprire quante cose abbiamo in comune...

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